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TRA LE RIGHE: Valerio Varesi racconta il commissario Soneri

Mi restava un’ultima ibridazione, una necessità personale e romanzesca: introdurre nel giallo l’inquietudine e gli stati d’animo tipici degli autori noir francesi: Izzo e Manchette, Malet e naturalmente il padre di tutti, Simenon. Mi ci voleva cioè un personaggio adatto a farsi osservare intimamente, ma con pudore.
Valerio Varesi

Il commissario Soneri di Valerio Varesi

È l’estate del 1989 quando il commissario Soneri inizia la sua prima indagine a Parma. Schivo, taciturno, segnato dalla vita: così lo descrive il suo creatore, Valerio Varesi. Quando ha iniziato a raccontare le avventure di Soneri non immaginava che il suo detective sarebbe diventato un personaggio seriale. Invece, a oggi sono più di vent’anni che questo investigatore appassiona lettrici e lettori, conquistando anche la tv con la serie Nebbie e delitti, interpretata da Luca Barbareschi. La sua fama ha superato i confini italiani, tanto da rendere Varesi – secondo Le figaro- il Simenon italiano. Merito dello stile asciutto ed essenziale dello scrittore e giornalista parmigiano, che ci guida in intrighi, ricatti e verità nascoste.

La sua nuova indagine si intitola Reo confesso ed arriva in libreria nella collana Il Giallo Mondadori, dopo il successo de Gli invisibili. Un intricato caso, molto più complesso del solito: Soneri dovrà trovare il vero colpevole quando qualcuno sembra essersi costituito al suo posto.

Ma qual è il segreto del successo del commissario Soneri?

Il protagonista nato dalla penna di Valerio Varesi non è solo il detective che svela il mistero. E’ soprattutto un uomo, segnato dalla morte della moglie e del figlio durante il parto. Un personaggio vero, che matura durante le sue indagini e non rimane indifferente al passare del tempo. Ecco come ce ne ha parlato l’autore.
Da più di vent’anni convivo con il commissario Soneri e mi sembra quasi un matrimonio. All’inizio, mica avevo intenzione di legarmi a un personaggio seriale. Sono un gatto randagio della scrittura che va dietro le storie lasciandosi affascinare. Ma sempre più spesso erano proprio le storie di morti e misteri ad attirarmi.

Sarà stato per il mestiere di giornalista, sarà stato per la curiosità, sta di fatto che vicenda dopo vicenda scoprivo come i delitti (anche quelli di corruzione e ambientali) nascondessero scenari che mi apparivano come la spia dei cambiamenti sociali  e dei conflitti interni del mondo d’oggi.

Se Dio si nasconde nei dettagli, il diavolo fa lo stesso. Dunque per me l’indagine non si sarebbe fermata alla scoperta del colpevole, ma poteva (e doveva) essere dilatata al contesto svelandone le contraddizioni e le potenzialità criminogene. In fondo si trattava di recuperare una grande tradizione italiana, quella di Scerbanenco, di Gadda e di Sciascia, per intenderci, grandi scrittori che hanno saputo raccontare anche meglio di altri questo Paese a partire da un delitto.

Il mio maestro Raffaele Crovi sosteneva che il giallo è incluso in molti capolavori della grande letteratura. Fra quelli che citava più spesso, Edipo re (il più grande giallo della storia), Delitto e castigo e persino la parabola biblica di Caino e Abele.

Ai miei occhi, la modalità narrativa del giallo ha così gradatamente acquisito un peso che andava ben oltre il semplice, rassicurante schema delitto-indagine-soluzione, per assumere le sembianze di quello che alcuni definiscono “romanzo sociale”. Un genere destinato a riempire il vuoto narrativo lasciato dalla fine della formidabile stagione neorealista.

Mi restava un’ultima ibridazione, una necessità personale e romanzesca: introdurre nel giallo l’inquietudine e gli stati d’animo tipici degli autori noir francesi: Izzo e Manchette, Malet e naturalmente il padre di tutti, Simenon.

Mi ci voleva cioè un personaggio adatto a farsi osservare intimamente, ma con pudore.

E così è nato Franco Soneri, un uomo poco appariscente, schivo, taciturno, politicamente incazzato e segnato da una doppia tragedia: la morte della moglie e del figlio durante il parto, metafora sia della rottura della continuità, sia dell’assenza di futuro che connotano la nostra epoca.

Un personaggio in evoluzione, che invecchia e muta con il passare del tempo.

Il commissario Soneri: Valerio Varesi racconta l’umanità del suo personaggio

In Reo confesso, una nuova avventura per l’investigatore di Parma

di Redazione Libri Mondadori

Mi restava un’ultima ibridazione, una necessità personale e romanzesca: introdurre nel giallo l’inquietudine e gli stati d’animo tipici degli autori noir francesi: Izzo e Manchette, Malet e naturalmente il padre di tutti, Simenon. Mi ci voleva cioè un personaggio adatto a farsi osservare intimamente, ma con pudore.

Valerio Varesi

 

Il commissario Soneri di Valerio Varesi

È l’estate del 1989 quando il commissario Soneri inizia la sua prima indagine a Parma. Schivo, taciturno, segnato dalla vita: così lo descrive il suo creatore, Valerio Varesi. Quando ha iniziato a raccontare le avventure di Soneri non immaginava che il suo detective sarebbe diventato un personaggio seriale. Invece, a oggi sono più di vent’anni che questo investigatore appassiona lettrici e lettori, conquistando anche la tv con la serie Nebbie e delitti, interpretata da Luca Barbareschi. La sua fama ha superato i confini italiani, tanto da rendere Varesi – secondo Le figaro – il Simenon italiano. Merito dello stile asciutto ed essenziale dello scrittore e giornalista parmigiano, che ci guida in intrighi, ricatti e verità nascoste.

La sua nuova indagine si intitola Reo confesso ed arriva in libreria nella collana Il Giallo Mondadoridopo il successo de Gli invisibili. Un intricato caso, molto più complesso del solito: Soneri dovrà trovare il vero colpevole quando qualcuno sembra essersi costituito al suo posto. 

 

Ma qual è il segreto del successo del commissario Soneri?

Il protagonista nato dalla penna di Valerio Varesi non è solo il detective che svela il mistero. E’ soprattutto un uomo, segnato dalla morte della moglie e del figlio durante il parto. Un personaggio vero, che matura durante le sue indagini e non rimane indifferente al passare del tempo. Ecco come ce ne ha parlato l’autore.

Valerio Varesi racconta il commissario Soneri

Da più di vent’anni convivo con il commissario Soneri e mi sembra quasi un matrimonio. All’inizio, mica avevo intenzione di legarmi a un personaggio seriale. Sono un gatto randagio della scrittura che va dietro le storie lasciandosi affascinare. Ma sempre più spesso erano proprio le storie di morti e misteri ad attirarmi.

Sarà stato per il mestiere di giornalista, sarà stato per la curiosità, sta di fatto che vicenda dopo vicenda scoprivo come i delitti (anche quelli di corruzione e ambientali) nascondessero scenari che mi apparivano come la spia dei cambiamenti sociali  e dei conflitti interni del mondo d’oggi.

Se Dio si nasconde nei dettagli, il diavolo fa lo stesso. Dunque per me l’indagine non si sarebbe fermata alla scoperta del colpevole, ma poteva (e doveva) essere dilatata al contesto svelandone le contraddizioni e le potenzialità criminogene. In fondo si trattava di recuperare una grande tradizione italiana, quella di Scerbanenco, di Gadda e di Sciascia, per intenderci, grandi scrittori che hanno saputo raccontare anche meglio di altri questo Paese a partire da un delitto.

Il mio maestro Raffaele Crovi sosteneva che il giallo è incluso in molti capolavori della grande letteratura. Fra quelli che citava più spesso, Edipo re (il più grande giallo della storia), Delitto e castigo e persino la parabola biblica di Caino e Abele.

Ai miei occhi, la modalità narrativa del giallo ha così gradatamente acquisito un peso che andava ben oltre il semplice, rassicurante schema delitto-indagine-soluzione, per assumere le sembianze di quello che alcuni definiscono “romanzo sociale“. Un genere destinato a riempire il vuoto narrativo lasciato dalla fine della formidabile stagione neorealista.

Mi restava un’ultima ibridazione, una necessità personale e romanzesca: introdurre nel giallo l’inquietudine e gli stati d’animo tipici degli autori noir francesiIzzo e ManchetteMalet e naturalmente il padre di tutti, Simenon.

Mi ci voleva cioè un personaggio adatto a farsi osservare intimamente, ma con pudore.

E così è nato Franco Soneri, un uomo poco appariscente, schivo, taciturno, politicamente incazzato e segnato da una doppia tragedia: la morte della moglie e del figlio durante il parto, metafora sia della rottura della continuità, sia dell’assenza di futuro che connotano la nostra epoca.

Un personaggio in evoluzione, che invecchia e muta con il passare del tempo.

Valerio Varesi

INTERVISTA ALLO SCRITTORE VALERIO VARESI

ROMANZIERE TRADOTTO ALL’ESTERO, LE SUE INDAGINI POLIZIESCHE SONO LEGATE ALL’AMBIENTE SOCIALE.

intervista allo scrittore valerio varesi

Valerio Varesi giornalista de La Repubblica e scrittore di romanzi polizieschi (suo è il Commissario Soneri, approdato anche in tv con Nebbie e delitti), tradotto e apprezzato all’estero (cinque dei suoi romanzi sono stati tradotti in inglese), è anche l’autore di romanzi storico-politici (Trilogia di una Repubblica) che indagano con sguardo lucido la nostra realtà contemporanea.

Alessandra Calanchi, professoressa di Letteratura e Cultura Anglo-Americana all’università di Urbino, ha intervistato Valerio Varesi per cercare di capire il suo ruolo di intellettuale nell’Italia di oggi anche in relazione alla scelta di scrivere noir.

Valerio Varesi. (Fonte Widipedia)

POLIZIESCHI, GIALLI E NOIR FRANCESI

Valerio Varesi (classe ’59) è, citando Wikipedia, “un giornalista e scrittore italiano, autore di romanzi gialli e polizieschi”. Ti riconosci in questa descrizione?

Mi riconosco in parte, visto che io scrivo anche romanzi di altro genere come nel caso de Trilogia di una Repubblica. Però, è vero, sono anche uno scrittore di gialli. Gialli? Polizieschi? Noir? Le definizioni sono molteplici e mi lasciano tutto sommato abbastanza indifferente.

Credo di possedere una mia cifra narrativa che è forse quella più vicina al noir francese, vale a dire un romanzo che contiene un’indagine condotta da un poliziotto, ma su un fatto che ha grande rilevanza sociale e che può essere rappresentativo di un problema che riguarda tutti noi.

Insomma, un romanzo “impegnato”. Papa Bergoglio dice che un pastore deve puzzare del suo gregge. Io dico che uno scrittore deve sporcarsi le mani con la cronaca e la società che lo circonda.

Questo, nella grande letteratura avviene sempre, ma è un dovere pressante per il noir, genere che deve essere necessariamente inquietante e a suo modo eversivo anche rispetto alla cronaca di cui è una filiazione”.

Quanto è importante un editore e il rapporto che si crea con lui/lei?

Avere una stabilità editoriale e sentire la fiducia di chi ti pubblica è molto importante per un autore. Il rapporto con il redattore della casa editrice che ti segue, è simile a quello tra un paziente e il suo psicanalista. Dopo un po’ ti pare di confessare tutta la tua vita perché scrivere è un atto molto intimo. Si cava fuori da sé tanto come da una miniera e chi ti segue capisce com’è composta la tua intimità umana.

Quanto è il margine di autonomia dello scrittore?

L’autonomia è massima nel senso che scrivo ciò che mi pare, dal noir al romanzo storico, fino al racconto politico.

Quanto è cresciuto Soneri in questi anni, sia come uomo sia soprattutto come investigatore?

Soneri è cresciuto? Direi che si è raccontato. Penso che la mia scrittura sia cresciuta, mentre lui si è svelato ad ogni occasione. Il mio commissario non è un personaggio statico, bensì in itinere e come tale si rivela di volta in volta.

L’ultimo romanzo di Valerio Varesi.
(Fonte Web)

VALERIO VARESI TRA ROMANZI E SOCIAL

I tuoi romanzi sono tradotti all’estero, hanno avuto premi, e sono stati trasposti sullo schermo televisivo. Cosa ci dici invece della rete? Quanta importanza hanno i social nella tua vita e nel tuo lavoro?

Moltissima oggi. La comunicazione si è sempre più spostata verso la rete e anche i giornali sono ormai più letti sul video che sulla carta. L’influenza dei media tradizionali (eccetto la televisione) si è affievolita fino quasi a scemare.

Oggi una recensione sulla carta non influenza più come vent’anni fa. Oltretutto, al di sotto dei 50 anni, nessuno compra più il giornale in edicola. Ecco perché i social e soprattutto i blog d’autore, diventano prevalenti nel trasmettere le informazioni sui libri.

Se c’è un passaparola, l’unica forma di pubblicità di cui può disporre un autore che non sia uno del circo mediatico televisivo, questo passa per la rete e i social. Dunque per un autore è essenziale essere presente in questo ambito.

Il tuo penultimo Soneri, La paura nell’anima (2018), è una caccia all’uomo ispirata alla vicenda di Igor, quindi molto legata a fatti di cronaca recenti. Cosa pensi dei rapporti fra realtà e rappresentazione mediatica? Quanto parte ha (o non ha) invece il giornalismo nel tuo lavoro (sia come documentazione e ricerca di informazioni sia come professione)?

La realtà è sempre più complessa della sua rappresentazione mediatica, specie quella televisiva. La cronaca non può entrare nelle numerose sfaccettature della vita e del suo prodursi. In particolare non può inoltrarsi nei meandri della mente, nella dimensione emozionale degli individui.

Deve fermarsi là dove quello che si dice o si scrive può essere provato. Per questo le sfugge un’enorme quantità di motivazioni dell’agire umano. La narrativa e la letteratura possono sopperire lavorando sulla finzione. Ma è una finzione spesso molto più vicina al reale della cronaca.

Si pensi alle stragi, per esempio. Abbiamo capito più leggendo i libri che i giornali. Il giornalismo è però, in quanto specchio, spesso impreciso, di quel che accade, una fonte inesauribile di spunti narrativi qualora i fatti siano la spia di problemi sociali. Il delitto spesso lo è.

Il NOIR come romanzo sociale, VALERIO VARESI giornalista e scrittore 

BRIVIDI GIALLI: L’ORA BUCA, IL NUOVO LIBRO DI VALERIO VARESI

IL COMMISSARIO SONERI IN TV

IL CASO ALINOVI

A SCUOLA DEI GRANDI – VALERIO VARESI

VALERIO VARESI

ATMOSFERE NOIR PER UNA NARRATIVA

DI IMPEGNO E DI DENUNCIA

Più volte vincitore del Premio Fedeli, dedicato alla narrativa poliziesca, è giornalista e scrittore, due attività inscindibili una dall’altra. Perché proprio nella cronaca lei trova lo spunto e l’ispirazione per i suoi romanzi, è così?

La cronaca è fonte quasi inesauribile di spunti. Primo perché credo che la realtà sia sempre più avanti della fantasia, secondo perché la narrativa è lo specchio della nostra vita che la cronaca ci mostra. Ne rappresenta un distillato e ne ricava l’essenza.

Lei ha detto che il noir è un’atmosfera, uno stato d’animo, un colore. Come mai lo ha scelto? Crede che oggi sia la forma migliore di racconto sociale ?

Penso che in un noir non si possa prescindere da un’atmosfera che lo contenga. Potremmo pensare a un romanzo di Chandler, solo per fare un esempio, senza quell’America disincantata e cinica? Detto ciò, analizzare un delitto tramite un’indagine, può essere l’occasione per capire i turbamenti del mondo d’oggi. In questo caso un esempio di scuola è “A sangue freddo” di Truman Capote. Se non ci si limita solo a descrivere la modalità di un omicidio e il percorso per trovare l’assassino, ma ci si chiede che cos’è che ha spinto l’assassino a uccidere, il romanzo diventa sociale perché gran parte degli omicidi ha concause da ricercare nel mondo in cui viviamo. E’ la famosa “depressione ciclonica” di cui parlava il grande Gadda. In altre parole, il noir diventa sociale quando inizia a chiedersi il perché del male. Ma in realtà il noir nasce come genere inquietante ed eversivo. E’ nel suo Dna, purtroppo oggi troppo spesso tradito.

 E, a questo proposito, L’ora buca, il suo ultimo romanzo, è stato definito un distopico noir, è d’accordo?

Può essere sicuramente un noir e per certi versi un romanzo distopico, ma in realtà è un libro inclassificabile e strano. Risulta così per primo a me stesso perché la sua genesi è il risultato di più sollecitazioni. E’ un gomitolo con tanti bandoli.

Nel 2012, in Ultime notizie di una fuga, compare per la prima volta il personaggio del commissario Franco Soneri che ne Gli Invisibili, uscito lo scorso anno, è arrivato alla sua quindicesima indagine. Come è nato? Si è ispirato a un personaggio reale? E quanto è cambiato oggi in rapporto ai cambiamenti del mondo intorno a lui?

Soneri è nato perché volevo raccontare la storia della scomparsa di una famiglia e ci voleva qualcuno che indagasse. Per modello ho preso un amico commissario che diresse la Squadra mobile di Parma. Un tipo riflessivo, per niente d’azione, ma come don Ciccio Ingravallo “coi bernoccoli metafisici”.  Da questo poliziotto Soneri ha preso anche il nome: Franco. C’è però un’altra ragione nella nascita del mio commissario. Negli anni ’90, specie in Emilia, il giallo stava vivendo una felice mutazione nella direzione di cui parlavo prima. Dunque mi interessava molto sperimentare un genere che coniugasse forte tensione narrativa a impegno sociale.

 Qual è la sua  – e di Soneri – metodologia d’indagine?

E’ un investigatore induttivo. Si immerge nella situazione, nella scena del delitto, immagina gli stati d’animo dei protagonisti e da lì parte con le sue tesi sui fatti. Procede come la scienza sperimentale: fa ipotesi e va a verificarle camminando molto e parlando con tante persone.

 Ne Gli invisibili si ha la sensazione che il tema etico e sociale prevalga sull’indagine giudiziaria.  È d’accordo?

Quali sono i temi che sente più forti oggi e di cui le interessa raccontare?

E’ vero. “Gli invisibili” è il libro che forse più accentua questa tendenza, già presente in tutta la mia narrativa. Credo in un romanzo impegnato, di denuncia come lo fu la stagione del neorealismo italiano. Allora bastava raccontare per indicare ciò che non andava, oggi occorre un lavoro più profondo perché il bailamme informativo, paradossalmente, cela le verità profonde. Il tema principale è quello dell’impostazione che è stata data al mondo a partire dagli anni ’80, ovvero quella in cui tutto è regolato solo dal mercato in cui vige un unico valore: il denaro. Quella che abbiamo costruito è una società darwiniana che tira fuori il peggio dall’uomo e sta distruggendo il pianeta. Un mondo così, è violento di per sé e non può che generare violenza. Ai narratori spetta il compito di portare agli occhi del lettore questa consapevolezza”.

Soneri è stato interpretato sullo schermo da Luca Barbareschi e la serie RAI a lui dedicata – Nebbie e Delitti – è stata sceneggiata da Silvia Napolitano e Angelo Pasquini.  Lei  l’ ha supervisionata? Come ha vissuto  la trasposizione?

No, non ho partecipato direttamente alla produzione, né alla sceneggiatura. Mi sono limitato a dare consigli su come trattare i personaggi. Ogni autore, di fronte alla traduzione delle sue “creature” in un linguaggio diverso dalla scrittura e per giunta diffuso attraverso un mezzo che è enormemente più capillare del libro, subisce il complesso del figlio sottratto. In compenso le sue invenzioni e i suoi personaggi entrano nell’immaginario collettivo e ciò è molto appagante.

 Una delle caratteristiche  più apprezzate dei suoi romanzi è il grande lavoro sui personaggi e il loro approfondimento psicologico. Possiamo dire che il plot giallo è un pretesto per raccontare queste relazioni e le tematiche che  le stanno a cuore?

Quello che desidero è costruire dei bastardi. Romanzi che fondano le caratteristiche della letteratura tout court con l’impianto del romanzo a indagine. Vorrei che si amalgamassero la scrittura di livello con un tipo di narrativa più popolare. Gli esempi, anche in Italia ci sono, basti pensare a Sciascia, al citato Gadda o a Scerbanenco. Ma se alziamo lo sguardo oltralpe abbiamo Jean Claude Izzo, Henri Manchette, Leo Malet per non parlare del grande Simenon.

 Una domanda scontata per un giornalista, ma riteniamo sia importante ribadirlo: quanto conta la documentazione?

Conta parecchio per non commettere errori, soprattutto procedurali, che in un giallo non vengono perdonati. Con questo non voglio dire che tutto debba essere aderente alla lettera a ciò che succede in un commissariato, ma perlomeno verosimile. La documentazione è però fondamentale in romanzi storico-politici come quelli raccolti in “Trilogia di una Repubblica”, dove la storia e i suoi personaggi, questa volta veri, non devono avere sbavature.

E l’ambientazione? Lei ha detto che il Po e l’Appennino, presenze fortissime nei suoi romanzi, non sono soltanto luoghi letterari: che valenza hanno? E quanto conta l’ambientazione in un noir?

Po e Appennino, ma anche una città padana come Parma, sono contenitori che conferiscono la tessitura di fondo dei romanzi. Come una tela su cui si ricama. E’ importante ciò che viene costruendosi su di essa, ma è la tela che conferisce il colore al disegno. Inoltre, sia il Po che l’Appennino sono ambienti letterari per antonomasia.

 Inizia un romanzo solo quando ha una scaletta ben definita  o scrive di getto? 

Inizio quando vengo colpito da un fatto che rappresenta, in quanto emblematico, tutta la storia che io vorrei raccontare. Ci sono episodi di cronaca che, in nuce, contengono molto di più di quello che mostrano. Basta svilupparli, come scartare una caramella o rompere il guscio di una noce. Quello è il flash che si imprime nella mia mente. Da lì parto e so dove arriverò. Quello che non so è il come. Questa è la parte che devo costruire giorno dopo giorno.

Lavora su un romanzo alla volta o su più romanzi insieme?

In genere lavoro un romanzo per volta. Anche perché il mestiere di giornalista mi prende gran parte della giornata e non avrei il tempo di dedicarmi a due testi contemporaneamente. Ma non penso che lo farei perché ogni storia ha bisogno della sua lingua e del suo ritmo come un corpo di un vestito di misura giusta. Se si confrontano lo stile dei noir con la lingua alla Celine de “Lo stato di ebbrezza”, si ha l’impressione di libri scritti da autori diversi”.

Parte da un personaggio o da una situazione?

Sempre da una situazione, un fatto che mi viene raccontato. Anche perché, nel caso dei noir, il personaggio è sempre lo stesso.

 Quando scrive ha in mente un preciso target di lettori?

Credo di immaginarmi il lettore tipo. E’ una persona che non si accontenta del giallo enigmistico, ma desidera anche altro a partire da una scrittura di buon livello. Un lettore che non legge solo gialli, ma anche letteratura di altro tipo. Insomma, i miei testi sono forse un po’ troppo selettivi. Chi è abituato al thriller o al giallo enigmistico pieno d’azione e anche un po’ sanguinolento, non ama i miei libri. Li trova lenti, troppo riflessivi e forse noiosi.

A suo avviso è importante seminare indizi che permettano al lettore di arrivare da solo alla soluzione della trama gialla?

Non mi importa più di tanto giocare a scacchi con il lettore. Al limite potrei svelare tutto all’inizio come Boll ne “L’onore perduto di Katharina Blum” o non trovare l’assassino come ne “La promessa” di Durrenmatt”. Ribadisco che la domanda principale che mi pongo non è “chi è stato a uccidere”, ma “perché l’ha fatto”.

Il colpevole deve essere un personaggio che ha una rilevanza nella storia?

Secondo me sì. Deve incarnare uno squilibrio essere artefice del movente e rappresentarne i motivi. Essendo la mia una narrativa di impegno, l’assassino è colui che manifesta la contraddizione. Sarebbe diverso se scrivessi di serial killer psicopatici, lì il movente sociale c’entra poco se non nella genesi della malattia mentale.

Quali consigli darebbe a chi vuole scrivere gialli o noir?

Leggere molto ed esercitarsi nella scrittura. Il talento è una dote di base ma va affinato e allenato esattamente come la voce di un cantante lirico.

Tre doti imprescindibili che deve avere uno scrittore di gialli/noir.

Scrittura. Senza quella non v’è nessuna forma letteraria. Un testo, qualsiasi testo, può reggere se scritto bene anche se non racconta granché. Viceversa, si può avere per le mani la più bella storia del mondo, ma senza una scrittura di livello non avrà mai una dignità letteraria. Trama. Le idee devono camminare con muscoli e ossa, dunque occorre fantasia e immaginazione per costruire un buon intreccio. In seno alla trama includo i personaggi che devono essere vivi nella loro umanità e non funzioni puramente narrative. Visione. Da uno scrittore di noir si pretende che trasmetta al lettore una sua visione della realtà e un filo che la leghi. Un logos, una interpretazione che tragga fuori dal caos che ci circonda un’idea di mondo coerente.

Valerio Varesi presenta i suoi romanzi Gli Invisibili e L’Ora Buca. Dialoga con lo scrittore Giusy Giulianini. 

ATTENZIONE
Guarda la diretta su Youtube, eccola:

GialloFestival 2020 – Valerio Varesi – Il fascino discreto del noir sociale

Oppure “scrollare” scendendo fino all’intervista:
GUARDA GLI INCONTRI IN SALA VIGATA DI DOMENICA 15 NOVEMBRE

 

Ètv:”L’ora buca” di Valerio Varesi

VALERIO VARESI – L’ORA BUCA

Editore Frassinelli
Anno 2020
Genere thriller
336 pagine – brossura e epub


Valerio Varesi, scrittore – ideatore della fortunata serie con protagonista il commissario Soneri – e giornalista de La Repubblica, torna alle stampe con “L’ora buca”, edito da Frassinelli.
“L’ora buca” per me è stato un libro molto impegnativo, è un libro che non dà tregua, ogni pagina fornisce spunti di riflessione e i dialoghi tra i protagonisti hanno un livello molto alto.
Non è stato facile buttare giù le mie impressioni perché tecnicamente non ho la forza narrativa e di analisi necessarie per raccontare questo libro così importante e notevole. Ci vorrebbe un’analisi tecnica-politica-filosofica, almeno. Non avendo questa capacità le mie impressioni saranno il frutto del mio sguardo da spettatrice della realtà che ci circonda.

La prima cosa che mi ha colpita è il fatto che il protagonista che racconta in prima persona la storia non ha un nome. I co-protagonisti si, lui no. Mi sono chiesta il motivo di questa scelta e ho pensato che non ha un nome perché ognuno di noi potrebbe essere lui. Ognuno di noi potrebbe trovarsi nella sua situazione. Lui è un insegnante e insoddisfatto della vita che conduce. Come molti.
“Per i ragazzi siamo noia e per i genitori una spesa inutile. Ci sopportano solo perché intratteniamo i loro figli almeno mezza giornata. Un professore o una babysitter non fa differenza.”

L’inutilità che spesso lo coglie quando è con i suoi alunni, la consapevolezza di non essere guardato e ascoltato con la giusta attenzione. Il disagio che prende sempre più piede e porta a cercare delle vie di uscita. Vie d’uscita che pensiamo essere salvifiche ma che nella realtà ci intrappolano ancora di più, incastrati in un sistema che disintegra le persone, le rende contenitori dove riversare concetti, pensieri e desideri inutili. Quel sistema ci convince invece che quei concetti, quei pensieri e quei desideri siano fondamentali, per noi e per la conduzione della nostra vita. Il nostro professore si ritroverà ad affrontare una dinamica allucinante, proprio perché convinto del fatto che vuole cambiare la sua esistenza barattandola con una che gli fornisca visibilità e successo, contro quella attuale che lo relega a controfigura di se stesso e non gli procura nessuna soddisfazione.

Per realizzare il suo obiettivo il protagonista entra a far parte di un’Agenzia. E prima di realizzarlo, verrà utilizzato per attuare i desideri di altre persone. Utilizzato per poi poter essere pronto a conseguire il suo di desiderio.
… Mi ha spiegato che l’Agenzia ha molti collaboratori in svariati settori e che tutti sono ben pagati. “ Come tanti professionisti cui noi diamo incarichi tenendoci una parte degli utili”, – ha chiarito. – “Ma a lei non credo interessi più di tanto il danaro” -, ha detto studiandomi. – “No, infatti”, ho confermato io. “Quel che basta per campare senza affanni.” Tomassoni ha sorriso: “Capisco”, ha annuito, “questo la rende un tipo interessante”.
“E’ per il fatto che non ritengo di esserlo che sono qui.”
“Lo so, lo so…” ha ripreso l’uomo come se fosse un’ovvietà.
“Però deve prima entrare nello spirito dell’Agenzia, capire come agiamo. E farlo per gradi. Lavoriamo nel campo dell’immaginario… Finora l’immenso territorio del virtuale è stato sfruttato per cose ridicole. Ci hanno fatto pascolare qualche mucca e rivoltato le zolle. Noi stiamo costruendoci un’industria.”

L’apprendistato del protagonista sarà proficuo, si comporterà molto bene, è ben predisposto verso questa nuova attività, ha tutte le capacità giuste, riesce a districarsi nel migliore dei modi. In una certa situazione contribuirà in maniera efficace dando il giusto input. L’Agenzia ha necessità, per favorire una persona, di fermare un magistrato non compiacente. Bene, il nostro professore avrà lo spunto giusto per creare una campagna denigratoria costruita ad hoc per stroncare la carriera, la dignità e l’autorevolezza di quel magistrato. E ci riusciranno. Tutti punti a favore del protagonista che a questo punto è pronto per fare il salto di qualità.
L’autore ci mostra come viene creato un personaggio, cosa fargli dire, cosa fargli fare, come vestirsi, come atteggiarsi, come porsi nei confronti delle persone. Tutto è costruito a tavolino, discusso, valutato, provato. L’immagine che vediamo è frutto di una tattica, di qualcosa di prestabilito che ha come scopo quello di raggiungere e convincere la massa, quella massa che si fa guidare verso quello che il Sistema vuole, facendole credere però che a decidere sia lei.
Ma al minimo errore il personaggio costruito paga e paga amaramente. Così come è stato costruito, viene demolito. La sua quotazione scende e in qualche maniera deve essere allontanato e cancellato. E’ una demolizione anch’essa costruita ad hoc. La fine scelta è allucinante e il paradosso è che il protagonista è felice della sua fine perché prima di tutto ha raggiunto il suo scopo. Il resto non conta. E’ un finale che lascia esterrefatti. E non siamo lontani da una realtà che sta prendendo sempre più piede nella nostra società.

“L’ora buca” è un libro distopico e come i libri distopici ci racconta una realtà estremizzata agli eccessi che però non si allontana di molto da quello che ci circonda.
Una società in cui la realizzazione dei propri desideri è talmente fondamentale da farci perdere però il senso della realtà, una società in cui è tutto troppo veloce. L’informazione, qualunque essa sia, ha bisogno sempre di un ricambio repentino, ci stanchiamo subito e abbiamo bisogno di qualcosa di nuovo sempre. Una società che costruisce a tavolino persone e situazioni, che fa credere che sia tu pubblico a scegliere e invece non fa altro che subire, non deve pensare, non deve riflettere, deve pensare di essere felice ed appagato.
“L’ora buca” ha tantissimo altro al suo interno, ripeto, è una riflessione continua su diversi argomenti, tutti interessanti, è un descrivere in maniera autorevole e professionale la realtà di cui facciamo parte. Varesi lo fa con lo sguardo da scrittore e da giornalista, da testimone qualificato della cronaca politica, economica, sociale che viviamo quotidianamente.
A fine lettura mi sono chiesta se abbiamo tempo per recuperare i nostri errori o se la deriva ormai è inevitabile. Il degrado è talmente alto che propendo per la seconda opzione.
I libri come “L’ora buca” dovrebbero servire proprio a farci aprire gli occhi, a farci rendere conto che è in nostro potere cambiare le cose, se solo lo volessimo davvero.

Cecilia Dilorenzo

Intervista a Valerio Varesi su “Gli invisibili”. Di Tiziana Viganò

intervista di Tiziana Viganò già pubblicata su MilanoNera

La pioggia incessante che cade su Parma non riesce a lavare il male, neppure la nebbia che può velarlo, o rivelarlo. Forse la piena del Po riuscirà dove l’acqua del cielo non è riuscita, o forse no, metterà allo scoperto segreti che ha nascosto nel suo greto di sabbie e d’argille. Il commissario Soneri risente dell’atmosfera autunnale, lenta e triste, forse perché gli ricorda l’autunno della sua vita, che solo si ravviva grazie all’energia positiva dell’eterna fidanzata Angela, al calore dell’eccellente cibo emiliano e del vino delle colline parmensi. E’ malinconico, pessimista come sempre, ma è ostinato e non molla l’indagine che ha per le mani, sente il dovere morale di dare un nome a un morto che giace all’obitorio da tre anni. Un invisibile, uno che già in vita non aveva il diritto di essere riconosciuto. Ma scoperchierà un vaso di vermi, di peccati e di crimini scavando a mani nude nell’acqua torbida del fiume.

 

Romanzi d’atmosfera i suoi, di grande narrativa: la filosofia dell’esistenza percorre le pagine, con  i temi della memoria e della storia passata, della sofferenza, del dolore di vivere.
Seguo una strada forse impervia, quella che vuole fondere il romanzo d’inchiesta, dunque apparentemente un giallo classico, con l’approfondimento di un tema sociale. Tutto ciò richiede uno spessore psicologico nei personaggi, in primo luogo di quello seriale, Soneri, una scrittura il più possibile letteraria e un’atmosfera che rappresenti il colore di fondo della storia.

Soneri è un uomo lucido, razionale, ostinato nel suo ricercare verità e giustizia, contro tutto e tutti, anche quando sembra combattere come Don Chisciotte, seguendo fili di indizi labili o quasi invisibili…


E’ un uomo che si ribella alla fredda burocrazia delle prefetture. In lui c’è sempre uno scatto di pietas umana di fronte alle persone morte e rendere loro giustizia non è più solo un compito da funzionario, ma un dovere etico.

 

Il commissario, sotto l’influenza del mondo acquatico, entra nel profondo di sè, sogna, medita. Quanti anni ha ora Soneri? Come è cambiato nel corso di queste numerose indagini? Quanto le assomiglia?
Soneri è un uomo di mezz’età, quella in cui si comincia a riflettere sulla vita avendone trascorsa un bel pezzo. Non ha smesso di sognare e di essere curioso, ma proprio questi sogni, il prolungamento del suo mondo giovanile, si scontra con la realtà dell’oggi fatta di menti sempre più anguste, di egoismi e solitudini crescenti. Parallelamente all’incrudelirsi dei rancori collettivi, cresce in lui la rabbia. Se nelle prime inchieste era nostalgico al punto da crogiolarsi nell’abbandono malinconico, ora predominano la collera e la frustrazione di non riuscire ad arrestare una deriva che sembra senza limite. In questo mi assomiglia. Abbiamo la stessa visione del mondo

Il Po, un grande amore, in alcuni suoi libri ha un ruolo fondamentale, da protagonista. Come lei vive il suo fiume?
Io vengo da una famiglia dell’Appennino e pertanto non mi è stato immediatamente familiare il fiume. Me ne sono innamorato da ventenne quando fui invitato da un uomo di Po molto colto che aveva una barca sulla riva parmense. Ho scoperto così un mondo fantastico, popolato da personaggi straordinari. Non a caso molti scrittori ne sono attratti. Torno spesso a passeggiare sulle sue sponde e ogni volta mi pare offra uno spettacolo naturale che ha il fascino di tutte le grandi forze della natura, come le montagne, il mare o i grandi laghi

unnamed (2)Il popolo del Po emerge dalle pagine, caratteristi, macchiette o personaggi drammatici insegnano a Soneri il linguaggio del fiume: gli raccontano, attraverso storie antiche o pettegolezzi attuali tanti particolari che, come tessere minuscole di un mosaico, gli permettono di individuare l’immagine di cui ha bisogno. Casimiro soprattutto ha un ruolo importante, e affascina con il suo mondo soprannaturale, fatto di mostri acquatici e di spiriti, ma anche di ricordi e fatti reali.
Il Po è popolato di questi personaggi. Guareschi diceva che non è possibile trovare gente normale da quelle parti, perché chiunque stesse sei mesi nella nebbia e tre mesi col sole che ti spacca la testa non potrebbe mai crescere normale. La gente di Po è visionaria in quanto la nebbia ti costringe a immaginare e ti fa vedere il mondo attraverso un velo trasfigurandolo. Guareschi, Zavattini, Soldati, Ligabue, Pederiali, Cibotto e, andando all’indietro, il Folengo e l’Ariosto, sono tutti dei visionari.

Ogni personaggio, anche secondario, è descritto con una grande profondità psicologica, si fa ricordare.
Ciascun personaggio racconta una fetta di umanità e come tale ne deve restituire anche il modo di pensare, gli atteggiamenti e l’agire. Del resto, tra le cose che si ricordano di un romanzo una, fondamentale, sono i personaggi. Per raccontarli, però, occorre la scrittura che avvolge e tiene assieme tutto.

Il giallo moderno, soprattutto quello italiano, descrive la società con i suoi mille problemi, l’ambientazione che ogni autore sceglie e che conosce bene è un grande insegnamento per i lettori. I finali che offrono la vittoria del bene sul male offrono agli adulti ciò che le fiabe promettono ai bambini. Ma ora i confini non sono così netti: si cercano i motivi che spingono al crimine, chi crede di essere dalla parte del bene si vede come in uno specchio nel cattivo, i detective provano compassione per le loro prede… Anche nel mondo del giallo la psicologia ha fatto passi da gigante per la comprensione dell’anima umana.
Soprattutto questo non è più un tipo di letteratura consolante. Anzi, direi che oggi è inquietante. Nei miei romanzi sono più numerose le domande alla fine che all’inizio, l’inverso vale per le certezze. Chiedersi perché qualcuno uccide e non solo chi è stato, è un modo di porsi tale per cui irrompe nella gabbia del giallo classico l’inquietudine portata dalla consapevolezza che non c’è solo il libero arbitrio dell’assassino, ma molte altre forze che interagiscono con lui. E’ la “depressione ciclonica” di cui parlava Carlo Emilio Gadda. E’ per questa via che il giallo conandoliano si è trasformato in romanzo sociale

Per quale motivo i thriller e i gialli hanno un così grande successo nel mondo letterario attuale?
Mi piace pensare che sia perché portano dentro le loro trame ciò che ho appena detto raccontando il magma ribollente che sta sotto la superficie apparentemente tranquilla della realtà. Di fatto il loro successo è dovuto all’esasperazione della tensione narrativa attraverso il mistero che circonfonde un atto di violenza e l’equivoco che si tratti di un genere “leggero” capace di intrattenimento più che di faticosa riflessione.

La critica alla politica nei suoi libri ha sempre una grande importanza: cosa pensa del mondo politico odierno? Cos’è cambiato rispetto al passato? Cosa prevede per il futuro?
Nei personaggi politici di oggi è completamente assente la politica se per essa s’intende un’idea di mondo basata su un modello culturale e ideale. Oggi, i personaggi espressi dai partiti sono grandemente ignoranti, hanno un eloquio retorico privo di pensiero e la loro visione non spazia mai oltre un mese. Un torneo di parole vuote alla ricerca del consenso estemporaneo. La politica del dopoguerra era innervata da grandi idee di società con le quali era possibile contemplare il mondo nella sua interezza della quale faceva parte l’economia non fine a se stessa, ma vista come una delle componenti di un insieme. Finite le idee l’economia si è presa tutto lo spazio erigendo come unico valore il mercato. Già nel ’29 sperimentammo cosa potesse fare il mercato lasciato senza regole, ma non abbiamo imparato niente. Quella di oggi, in definitiva, è anche una crisi economica, ma soprattutto è una crisi culturale. In questo scenario, la sinistra ha perso su tutta la linea e oggi non ha progetti da opporre al liberismo economico. 

Qualche novità sul suo prossimo libro che tutti i suoi fans stanno aspettando…Il prossimo libro non sarà un giallo con Soneri, ma tratterà dell’ambizione individuale, dell’apparire per dare un senso alla propria vita, della virtualità che si sostituisce alla realtà e della spregiudicatezza della politica. 

Gli invisibili: un’indagine del commissario Soneri

di Valerio Varesi

edizioni Mondadori, 2019

INTERVISTA A VALRIO VARESI Università Telematica Internazionale UNINETTUNO

Il commissario Soneri e la legge del Corano

Recensione di Elisa Puntelli

Parma. Tra anolini e taglieri di affettati con scaglie di grana si consumano le vicende che vedono come protagonista il commissario Soneri. Ma non è questo mix di sapori ad attrarre il lettore bensì la storia. Una storia vera, reale, molto attuale. Si parla di persone. Ma non di persone qualsiasi. Qui si parla di italiani e di stranieri. Di uomini, ma anche di donne, che hanno in comune il solo fatto di convivere nella stessa città. Senza tuttavia condividerla. Gli uni separati dagli altri attraverso confini immaginari, sottili, ma ben delineati. I quali, se varcati dalle cosiddette “persone sbagliate”, sono pronti ad essere causa e testimoni dell’inizio di una vera e propria guerra sociale. Ma partiamo dal principio.

Il tutto ha inizio di domenica, un giorno tradizionalmente considerato di festa. Il commissario Soneri viene informato dell’omicidio di un giovane tunisino, Hamed Kalimi, ventisettenne sprovvisto di permesso di soggiorno che trascorreva parte delle sue giornate facendo compagnia a Gilberto Forlai, settantaseienne senza famiglia, cieco ormai da diversi anni.

Con queste esigue informazioni il protagonista inizia le indagini addentrandosi “sempre più nel mondo della comunità musulmana di Parma, nelle lotte di periferia dove la tensione tra immigrati e italiani è sempre più alta e minacciosa, e dove tutto si confonde”. Ed è proprio in questa confusione che si fa sempre più palese ed insistente la sensazione che “tanti recitino in questa commedia” impedendo così alle indagini di proseguire nella giusta direzione. Nonostante ciò Soneri riuscirà, grazie al suo particolare istinto investigativo, a porre tutti i tasselli di questa vicenda nella giusta posizione fino a completarne il puzzle.

Come in un qualsiasi giallo la storia ha inizio con la scoperta di un omicidio. Una vicenda banale, apparentemente ordinaria, si rivelerà nel corso della narrazione alla stregua di un vero e proprio vaso di Pandora. E come ne “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” Parma sembra voler celare e mostrare al contempo, non solo al lettore ma anche allo stesso Soneri, aspetti di sè contradditori talvolta difficili da cogliere.

Molti sono gli aspetti cruciali di questo romanzo. Droga, razzismo, xenofobia, movimenti politici, ritorsioni, semplice criminalità. Parlare di questi argomenti non significa anticipare nulla di quello che il lettore si troverà ad affrontare nel corso della narrazione. Parlare di questi argomenti significa parlare di oggi. Delle nostre città. Della nostra Italia. Sempre più esasperata, bistrattata e sovrapopolata.

Non leggevo una storia così vera, attuale ed interessante da moltissimo tempo. Per questo non posso che ringraziare Valerio Varesi che con “Il commissario Soneri e la legge del Corano” è riuscito a scuotere la mia mente dal torpore delle ideologie che oggigiorno gli strumenti mediatici diffondono, portandomi lentamente a sondare la profondità di me stessa.

Leggete questo libro. Che voi siate di destra o di sinistra, anarchici, religiosi o atei. Datemi retta, leggetelo.

Valerio Varesi è riuscito a mettere in piedi una storia che trascende i semplici confini delle pagine di un libro. Una storia che parla di scelte, e di coraggio. Sì perchè, come capirete voi stessi, a volte occorre gran coraggio nello scegliere di prendere una decisione.

E nel decidere di mantenerla, costi quel che costi.

Jean-Paul Sartre disse:

“Ciò che non è assolutamente possibile è non scegliere”.

Nella storia narrata in questo libro, come nella vita stessa, aveva perfettamente ragione.