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Valerio Varesi, dopo Il fiume delle nebbie, uno dei suoi libri più famosi, torna con Gli invisibili, Mondadori, tra gli argini del Po. Un luogo a lui caro.

«Sì, il Po è uno degli ambienti che mi suggerisce molte emozioni. È un luogo letterario descritto da grandi autori come Guareschi, Zavattini, Bacchelli e, ultimamente, dal mio amico e conterraneo Guido Conti. Il fiume è una sorta di zona franca dove tutto può accadere. È il mistero, la mitologia, la brutalità delle alluvioni e la dolcezza dello scorrere placido della magra. Chi ci vive ha caratteristiche particolari tali da assumere la dimensione di personaggi veri e originali. Insomma, lo scenario perfetto per una storia noir a partire dalla nebbia.».

 

Soneri è diventato uno dei protagonisti della letteratura degli ultimi anni non solo in Italia.

«È un commissario schivo, poco incline ai formalismi, insofferente verso la vita delle questure impregnate di fumosa burocrazia e amante delle cose semplici come la cucina e i piatti parmigiani confezionati con cura dal suo oste preferito, l’Alceste del Milord. Ha una compagna avvocato, Angela, piuttosto combattiva che lo compensa nei momenti peggiori col suo pratico buon senso. Alle spalle ha qualche maceria, come tutti: una moglie morta mentre dava alla luce un figlio che non è mai nato».

 

Varesi ha imparato bene la lezione di Simenon, ha creato Soneri e i “romanzi romanzi” con la Trilogia di una Repubblica: La sentenza, Il rivoluzionario e Lo stato di ebbrezza. Due mondi e due forme di racconto.

«Credo che il giallo/noir, sia uno strumento efficacissimo per raccontare l’oggi, magari a partire da un fatto di cronaca che sia rappresentativo del nostro vivere. Il noir come romanzo sociale, non romanzo usa e getta, come troppo spesso accade oggi. Con la Trilogia ho invece provato a raccontare il nostro dopoguerra, dalla Resistenza alla caduta di Berlusconi. Il tutto in tre libri che raccontano ciascuno un pezzo di questo dopoguerra. Cerco di essere uno scrittore eclettico anche per non fissare la mia cifra narrativa su un solo genere».

 

C’è un elemento di novità nell’ultimo romanzo, Gli invisibili, una follia, un mistero che sfiora il gotico e il fantastico, che sembra una novità nel suo modo di narrare.

«Sì è vero. È il Po che me l’ha suggerito. Tuttora sopravvive una mitologia sulle sue rive che affascina e si tramanda. È la follia onirica che è suggerita dalla nebbia. Quando non vedi devi immaginare la realtà. La nebbia, la “fumana”, ha una dimensione straordinariamente creativa».

 

Varesi è uno scrittore della Bassa e della collina, dove ha ambientato alcuni suoi romanzi, ma Parma resta una città che ha narrato in una maniera nuova, con grande successo anche in Francia e in altri paesi.

«Parma è una città gradevole e insopportabile, colta ma spesso provinciale, “piccola Parigi” bertolucciana, ma chiusa e autocompiaciuta. Parma è una città che risente d’essere stata una corte con élites di grande livello ma anche cortigiani di bassa lega. È una città dove il melodramma ha improntato gran parte delle modalità di vivere dei parmigiani che amano l’ostentazione da palcoscenico. Sono il contrario dei vicini reggiani o mantovani molto più riservati e tendenti al silenzio».

 

Varesi s’immerge nei meandri della realtà. Nei suoi romanzi si va sempre oltre la trama, l’indagine. Ne Gli invisibili c’è un’attenzione ai personaggi ai margini, che restano nell’ombra…

«Io seguo la lezione di Simenon, di Scerbanenco, Gadda, Sciascia, Izzo e della scuola francese che oggi esprime Manotti o Carrère, vale a dire il romanzo che, attraverso un’indagine tradizionale, si immerge nei problemi dell’oggi. Papa Francesco ha detto che il pastore deve puzzare del suo gregge e io dico che chi scrive noir deve puzzare di realtà, scandagliarla sporcandosene le mani».

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